Leggiamo su Corriere fiorentino del 6 aprile 2020 questo interessante articolo di Marzio Fatucchi:
Paolo Barberis: il digitale era trattato come una ruota di scorta, ora abbiamo forato tutti e occorre tirarla fuori. Ma servono gli investimenti e la formazione, soprattutto di chi prende le decisioni
Costretti al telelavoro. A usare strumenti digitali lasciati fino a quel momento inutilizzati «come una ruota di scorta», lavoratori e imprese hanno dovuto spesso improvvisarsi da un giorno all’altro digitali. Con lati positivi, «la necessità diventa obbligo anche di gentilezza, per le videoconferenze, esigendo da tutti una concentrazione ed un rispetto maggiore nella comunicazione». Questa situazione, drammatica per le vittime e lo sforzo per arginare il virus, ha anche tolto il velo alle debolezze sul fronte dell’innovazione, sia nelle imprese, che nella pubblica amministrazione. Cosa occorre per superarle? «Formazione del personale. Occorre che chi prende le decisioni — siano essi soggetti pubblici o privati — abbiano competenze digitali. E infine bisogna imparare dall’e-commerce, dai militari. Pure da Pornhub». Sorride, Paolo Barberis, citando anche il portale a luci rosse.
Ma è un tema serio quello affrontato dal fondatore di Nana Bianca ed ex consulente del governo per il digitale: la sfida di trasformare in modo digitale imprese, lavoro e pubblica amministrazione. E l’impatto che ha avuto l’epidemia di Coronavirus ha accelerato tutti i processi. Con molti bug.
Il sito dell’Inps è andato in crash al primo «click day». Invece quando Pornhub ha dato accesso gratuito ad aree di milioni di persone, in zone di emergenza Coronavirus, pare che non abbia abbassato neanche la qualità video.
«È davvero così: i servizi di e-commerce, ma anche i siti porno, sono tarati per il massimo di accessi possibili. E, come si suol dire, porno e militare guidano innovazione e sviluppo. Paradossalmente, sono mercati meno conosciuti e critical mission, riescono a sopperire ai bisogni. Il click day dell’Inps è come il Black Friday (la giornata dei mega sconti diventata famosa negli Usa e poi in tutto il mondo, ndr): il dimensionamento dei server per il commercio elettronico è fatto per i momenti di punta. A Nana Bianca abbiamo una start up, Vino75.com, che ora sta andando a 4 volte il flusso tradizionale. Loro si erano già dimensionati al Black Friday: perché l’Inps non ha fatto altrettanto? Ho avuto la percezione, lavorando al piano di trasformazione digitale del governo, quanto sia difficile mettere tutti a lavorare sulla stessa pagina».
Cosa vuol dire?
«Chi lavora con strumenti digitali deve lavorare in modo condiviso. Tutti i responsabili tecnici dei vari enti dovrebbero mettere assieme le competenze, usare i cosiddetti ammortizzatori di traffico (cash e log balancer) per bilanciarlo sulle macchine, alleggerendo le strutture . Come fa ogni sito di e-commerce. Il digitale è trattato come ruota di scorta. Ora abbiamo forato tutti, occorre tirarla fuori. E magari scopriamo che la ruota di scorta è bucata. Indignarsi è normale, ma se vogliamo prenderla in modo meno emozionale, è l’ennesimo esempio che anche l’Inps deve avere alla guida nativi digitali, o che almeno un bracco destro del direttore lo sia».
Ora in tanti sono in telelavoro ed emergono tutte queste criticità.
«Ma anche elementi positivi. In tanti stanno imparando che il sistema di relazioni sta cambiando, che la comunicazione digitale ha un valore intrinseco più alto di quanto pensavano. Il digitale toglie il rumore di fondo, aiuta a concentrarsi, tutti in una video call devono rispettarsi. C’è una esigenza di gentilezza perché la riunione non sia la “famigerata” riunione di un tempo, quella dove ci si parlava un’ora per non decidere niente».
Tante imprese non sono riuscite a passare al digitale nel «giorno 1»: non basta portare il pc a casa…
«Solo oggi stiamo imparando, per forza, la potenza possibile del digitale. Ma la potenza non è nulla se non hai strumenti adeguati e formazione del personale, ma soprattutto della dirigenza. Il digital divide culturale non è solo un problema dei cittadini, è un problema dei decisori, nelle imprese come in politica. E il primo settore da digitalizzare completamente è quello dell’amministrazione pubblica. Il vero punto critico è che chi fa, chi decide, deve essere digitale».
Investimenti dove?
«Da una parte le aziende devono cambiare i device almeno ogni 4 anni, meglio due. Applicando il principio del cloud: non li compri, li affitti. Cambiare modelli organizzativi interni, di comunicazione. Tutti dovrebbero ripartire come parte una start up: da nativi digitali. Non si digitalizza una impresa che nasce analogica. Quando ho partecipato nel 2012 alla task force per la riforma delle start up, tutti volevano avere un vecchio approccio: cioè i contributi raccolti da un “master” che elaborava il testo finale. Non si capiva che si poteva lavorare in modo “wiki”, con firme digitali che indicavano chi aveva editato, fatto proposte. Un modello distributivo. È questa la rivoluzione del digitale. E il vantaggio del documento collaborativo è che possiamo lavorare in asincrono, ciascuno nel momento in cui vuole».
Mentre ora, col telelavoro, si è connessi 18 ore al giorno.
«Erroneamente i primi giorni di crisi si parlava di smart working invece di telelavoro. Smart working non significa lavorare a casa ma con strumenti digitali e agili . Il telelavoro serve per fermare il virus, lo smart working lo posso fare da una baita o da una spiaggia. Ragionando per obiettivi. L’intelligenza, essere “smart”, non è lavorare da casa ma sapere usare gli strumenti che te lo consentono»
E poi c’è il problema della banda larga…
«Lo sa che ancora, a Firenze, chi è in centro può accedere alla fibra, chi è in collina non riesce a fare bene videochiamate? Occorre investire. Per i territori dove c’è un mercato, ci penseranno le aziende di telefonia. Per quelle senza margini di mercato, occorre lo Stato. Ma è necessario pure che i lavoratori, i cittadini, chiedano di passare alla fibra: stimola il mercato, gli darà strumenti digitali più efficaci».